Ogni giorno o quasi mi trovo a usare o scrivere o leggere la parola lusso. E quasi per default una parte di me si chiede se poi esista una definizione di lusso (wikipedia, ad esempio, ne offre una). Qualche mese fa è uscito un libretto molto interessante, "Elogio del lusso" di Thierry Paquot, giovane filosofo francese già autore del breve saggio "L’arte della siesta". Dopo aver analizzato molte forme del lusso contemporaneo, passando per le decine di marchi itlaiani e non che rappresentano l’oggetto del desiderio di milioni di consumatori (forse presto miliardi), Paquot scrive: "Il lusso, per come lo intendo io, richiede non soltanto un’approfondita conoscenza di sé stessi (da qui il ricorrere con regolarità all’otium), ma anche il dominio di sé, in modo che possiamo continuare a provare "desiderio" (i), ovvero che possiamo rimanere nella "suspence" o in uno stato di "sospensione", e dunque evitare quell’atteggiamento invidioso, geloso, insoddisfatto che adotta invce coli che desidera sempre ciò che non otterrà mai. Questo concetto di lusso potrei chiamarlo "armonia", riferendomi non solo a Charles Fourier, ma rifancendomi anche ai musicisti e ai carpentieri greci dell’Antichità, che fabbricavano imbarcazioni di grande affidabilità adeguando assi disuguali e traversine, che poi congiungevano con abilità. Questa unione, questa giuntura, questa congiunzione si definisce armonia e consente alla barca di rimanere stabile anche se sballottata dalle onde e dal vento".