Questa è la mini-intervista che gli ho fatto (e la sfilata a me è piaciuta molto)
T-shirt nera, giacca nera, jeans, scarpe da tennis e consueto cappello arruffato: Renzo Rosso attende l’inizio della passerella Diesel rilassato e tranquillo, stati d’animo molto rari nei backstage di una sfilata.
Come mai ha scelto di sfilare a New York?
Forse la ragione principale è la possibilità di unire le linee da donna e da uomo. Vedere uscire sulla passerella modelle e modelli, che si alternano in una specie di danza tra collezioni credo dia un’atmosfera di freschezza e allegria che ben si addice al marchio Diesel. Inoltre durante la settimana della moda newyorchese sfilano molti marchi dell’universo casual: è una cornice perfetta per noi.
Per quanto casual, quelle di New York sono comunque passerelle tradizionali. Niente a che fare con l’evento organizzato a Pitti nel giugno scorso, quando avete presentato uno spettacolo high tech, una sfilata di "ologrammi". Lo rifareste?
Quest’anno a Pitti eravamo ospiti e abbiamo voluto ringraziare gli organizzatori pensando a qualcosa di eccezionale, che nessuno avesse mai fatto prima, ma è stato un evento eccezionale anche dal punto di vista dei costi, quindi per ora non abbiamo in programma di riproporlo. Però è senz’altro vero che le sfilate, in generale, avrebbero bisogno di un format più moderno: credo che soprattutto quelle dedicate esclusivamente alle collezioni maschili siano diventate estremamente noiose e ripetitive. Ma forse è perché io amo le donne sopra ogni cosa e non c’è bellezza dove non c’è presenza femminile.
Qual è la novità principale di questa collezione?
Prima di tutto, è dominata dal bianco, un colore che evoca leggerezza, serenità e anche clima vacanziero, secondo me. E poi ci siamo inventati il "paper bag jeans", un denim quasi croccante al tatto, che ricorda appunto la consistenza di un sacchetto di carta, ottenuto con un processo particolare che abbiamo appena messo a punto. Per le forme abbiamo scelto soprattutto vita alta, sia per i pantaloni sia per le gonne. E qua e là ci siamo divertiti a infilare degli sprazzi di colori forti, anche fluorescenti.
Nei negozi di New York trovare jeans da 200-250 dollari in su, quelli che lei chiama "premium jeans", è normale. In Italia è più difficile, il jeans viene ancora visto come un pantalone che deve avere un prezzo medio per vendere?
Per quanto ci riguarda, i prodotti premium vendono bene in Italia e nei mercati europei come negli Stati Uniti. Forse perché stiamo lavorando da molto a far percepire il nostro brand come un brand premium, la fascia in cui vogliamo collocarci è comunque medio alta o alta, come per la linea "Diesel Gallery". E il mercato sta rispondendo molto bene.
Alcuni vostri concorrenti, come Gas, stanno affrontando il mercato indiano con un programma di aperture in joint venture. Voi che strategia avete?
L’India è un mercato molto interessante: è un Paese che trabocca di giovani e la classe media sta crescendo molto velocemente. Però noi ci muoviamo in completa autonomia: quando eravamo più piccoli, forse avremmo scelto la strada della joint venture con un partner locale. Ora possiamo permetterci di fare da soli (il gruppo ha chiuso il 2006 con ricavi a 1,35 miliardi di euro, ndr). In novembre apriremo il primo negozio a Mumbay, e nei prossimi tre anni ne inaugureremo altri 14.