Duecentocinquanta milioni di persone che possiamo già considerare benestanti secondo gli standard europei. Uomini e donne che hanno accesso alla maggior parte dei beni di largo consumo ai quali noi siamo abituati, dal cellulare al televisore al plasma, dalle vacanze estive all’abbonamento in palestra, dalla seconda macchina alla collaboratrice domestica. Almeno 500mila persone definite “high net worth individuals”, persone con un reddito disponibile annuo di circa un milione di euro. E un tasso di crescita del Pil che si avvicina al 10%. Basterebbero questi tre fatti a rendere l’idea della crescente importanza della Cina sullo scacchiere economico – e quindi politico – globale. Ma chi visita il Paese, e soprattutto la sua capitale Pechino, come è capitato a me nella settimana scorsa, credo sia colpito soprattutto da un’altra cosa: l’età della classe dirigente. In questo la Cina sembra essere profondamente diversa dalla Russia, altro gigante in pieno risveglio, altro Paese con tassi di crescita economica che si avvicinano al 10%, altra nazione con un numero elevatissimo di ricchi e super ricchi. Ma l’impressione è che in Russia non ci sia stato il ricambio generazionale che si vede in Cina. Cercate una guida a Mosca e quasi certamente avrete donne e uomini e coltissimi che parlano un italiano forbito e corretto, quasi senza accento, ma hanno dai 40 ai 50 anni, vengono da un altro mondo e si vede. Cercate una guida a Pechino e avrete giovani ragazze e ragazzi che parlano un inglese molto corretto ma quasi sempre con un accento abbastanza marcato. Hanno tutti meno di 30 anni e non smettono di sorridere. E soprattutto, guardano solo in avanti.