Ho seguito con un certo interesse il caso Barilla e ho letto sui giornali di ieri alcune considerazioni fatte da esperti (?) di comunicazione, pubblicità e persino sociologi. Oggi, confesso, non sono ancora uscita ma temo che i quotidiani saranno inondati da cronache e retroscena sulla crisi di Governo. Ma non escludo che ci siano nuovi commenti e analisi. Per chi se lo fosse perso, il caso Barilla è nato con le dichiarazioni omofobiche di Guido Barilla, figlio del fondatore Pietro e oggi alla guida dell'azienda con il fratello Luca, alla Zanzara, il programma di Radio 24 condotto da Giuseppe Cruciani. Ma su questo tornerò dopo.
Per molti anni sono andata alla "Notte dei publivori", per anni organizzata al Teatro Smeraldo da qualche anno tristemente chiuso (ma forse preso riaprirà con un grande Eataly, circondato da altri esercizi commerciali). Era vedendo le pubblicità proveniente da altri Paesi (in gran parte spot tv) che ho capito che la pubblicità è una forma d'arte contemporanea, come i videoclip. Ha uno scopo preciso, certo, far conoscere e far vendere un prodotto o un servizio, ma è pur sempre una forma d'arte. E come tutte le forme d'arte, oltre a intrattenere, può influenzare la società, non solo gli (eventuali) consumi. Influenza impossibile da misurare, ma che di certo c'è. Le pubblicità italiane mi sono sempre, purtroppo, sembrate sciatte, pigre, con poche idee, rispetto a quelle che vedevo alla Notte dei publivori. Molte pubblicità italiane mi hanno sempre fatto venire voglia di NON comprare quello di cui parlavano, per reazione. Ma anche se non mi spingevano a comprare, mi avvertivano comunque dell'esistenza di un prodotto. Quindi, volente o nolente, anch'io ne venivo influenzata, che è poi quello che ho letto in questi giorni nei commenti al caso Barilla.
Ma questi ragionamenti mi hanno anche fatto riflettere su quanta POCA pubblicità televisiva facciano i marchi della moda, che preferiscono di gran lunga la carta e, da quando esiste, la pubblicità online. E' strano e non so se sia una forma di snobismo, di calcolata analisi costi-benefici o ancora una scelta strategica per conservare un certo tipo di immagine. Alla prima occasione chiederò a chi prende queste decisioni nelle aziende di moda con le quali mi confronto, il perché della quasi assenza dalla tv, che resta un mezzo potentissimo e che io non disdegno, specie da quando c'è Sky e una rinnovata offerta. Per alcuni anni, ho pensato, lo confesso, di poter fare a meno della tv (erano gli anni del duopolio Rai-Mediaset). Ma quando andavo a casa di amici mi attaccavo ossessivamente alla tv…
Torniamo allora al caso Barilla: Guido Barilla ha detto (riassumo, ma se volete riascoltate sul sito di Radio 24) che nei loro spot non ci sono gay o famiglie gay perché Barilla "crede nella famiglia tradizionale". Poi incalzato dal sempre abilissimo Cruciani ha aggiunto che "se ai gay questa decisione aziendale non piace, possono comprare un'altra pasta". Ha detto anche alcune cose sul ruolo delle donne che, ripensandoci, mi hanno fatto arrabbiare tanto quanto quelle sui gay. Le solite banalità sul ruolo della donna che rappresenta il perno della famiglia, che nutre, che serve a tavola, che sorride a marito e figli ecc ecc. Guido Barilla, dopo le prime critiche alle sue stupidissime parole, ha reagito in modo altrettanto stupidamente piccato. Poi si è reso conto che da pallina di neve la cosa si stava trasformando in valanga (siamo nell'era di internet, dei social network, lo sa, Guido Barilla?), per la sua immagine e per quella dell'azienda e delle sue vendite. Allora ha chiesto scusa e l'azienda ha persino fatto un comunicato per spiegare che "non discrimina nessuno". E ci mancherebbe.
La vicenda mi ha talmente disturbata, che ieri sera, confesso, ho fatto il mio piccolo boicottaggio. Avendo fatto il pesto, avevo bisogno di "spaghetti piatti". Le bavette Barilla sono le migliori, secondo me. Ma ho comprato di proposito le linguine De Cecco. E per un momento mi sono sentita parte di questa importante reazione "dal basso" alle stupide parole di Barilla. Perché quello che mi fa paura è ciò che c'è dietro quelle parole, un mondo di pensieri intolleranti, una mentalità chiusa, una visione piccola piccola della realtà. Poi ho riflettuto un attimo e ho capito che, nel mio piccolissimo, boicottando la pasta Barilla (e se lo fanno, come annunciato su twitter, tutti i gay del mondo, Barilla perde una bella fetta di mercato: il Who calcola che il 7-8% della popolazione mondiale sia gay) facevo un po' quello che fanno i Governi quando mettono sanzioni sull'export o addirittura degli embargo verso certi Paesi. Chi ci va di mezzo non è MAI chi è al potere ed è responsabile di quei comprotamenti che gli embargo dovrebbero sanzionare. Chi ci va di mezzo sono i cittadini, le popolazioni. Non comprando pasta Barilla non puniamo mister Guido, ma, in prospettiva, chi lavora per l'azienda. Mister Guido non si taglierà mai lo stipendio, né rinuncerà a qualche carica se le vendite dovessero – e spero proprio di no – crollare. Chi ci andrà di mezzo – spero ovviamente non succeda, lo ripeto – sarebbero i dipendenti. E allora oggi andrò al supermercato e comprerò delle bavette Barilla. Ma la mia opinione su Guido Barilla – e so che a questo signore non importa, ma pazienza – è definitivamente compromessa.