Leggendo la pagina dei necrologi di oggi del Corriere della Sera ho visto gli annunci per Roberto Cerati. E’ stato un colpo tremendo. Avrei voluto urlare “ma come? È morto Roberto Cerati? Non lo sapevo, non è possibile, l’ho visto qualche mese fa alla libreria Hoepli". Ma ero in metropolitana, intorno a me avevo solo sconosciuti. Ho cercato di capire quando fossero i funerali, però non c’era scritto. Tornata in redazione, ho fatto un po’ di ricerche e ho visto che la notizia era arrivata venerdì scorso e che i funerali, si legge nelle agenzie, sarebbero stati in forma privata. Sabato e domenica sicuramente sono usciti degli articoli, ma io ero talmente stanca che ho letto tutto molto distrattamente.
Ma io vorrei parlare di Roberto Cerati come mi è apparso nella mente e nel cuore quando ho letto i necrologi. Era un intellettuale nel vero senso della parola. Max Weber avrebbe potuto mostrarlo al marziano di Flajano per fargli capire cosa vuol dire “lavoro intellettuale come professione”. Ma quando ho letto il suo nome io non ho pensato alla sua fine intelligenza, all’incredibile dolcezza del suo sguardo, dei suoi movimenti, della sua voce, né all’acutezza dei suoi commenti o alla delicatezza delle sue domande. No, l’ho proprio VISTO. L’ho visto con i suoi capelli bianchi disordinati al punto giusto, ma sempre pulitissimi. L’ho visto con le sue scarpe scure, semplici ma sempre in ordine e pulite. L’ho visto con i suoi maglioni neri, le sue polo nere (qualche volta blu scuro, da cui spuntavano t-shirt bianche), i suoi giacconi neri , i suoi calzoni vissuti ma mai rovinati. Non so quando abbia iniziato a vestirsi così. E’ morto a 90 anni, quindi quando l’ho conosciuto io ne aveva tra i 65 e i 70. Ma si vedeva che era a suo agio in quella sorta di divisa. Non era certo il tipo da seguire le mode né da spendere tanti soldi in vestiti o scarpe. Ma non era nemmeno il tipo da trascurare qualcosa, compreso l’aspetto fisico.
Quando l’ho conosciuto lavoravo alla libreria Hoepli, lui ogni sabato veniva a farsi un giro nel reparto di narrativa e in quello di saggistica e parlava con Fabrizio, responsabile del settore, e con Carlo, il libraio più fantastico che io abbia conosciuto (oggi è in pensione e si occupa della sua altra grande passione, oltre ai libri, il teatro… devo ricordarmi di chiamarlo e salutarlo). Chi tra noi giovani commessi non era intimorito poteva avvicinarlo e fargli domande. Dopo un po’ aveva imparato i nostri nomi, quando arrivava ci sorrideva e se non eravamo noi ad avvicinarlo era lui a venire da noi. Perché voleva sapere come andava, cosa si vendeva, che atmosfera c’era stata, quella settimana. E voleva sapere come stavamo. A costo di ripetermi, mentre scrivo sono presa dall’ennesimo rimpianto: per non avergli fatto più domande, per non aver accolto il suo invito ad andarlo a trovare, per non avergli telefonato più spesso, dopo aver smesso di lavorare alla Hoepli. In un’altra vita, io vorrei essere la sua segretaria (ammesso che l’abbia avuta) all’Einaudi.
Ma dicevo dell’immagine che ho di Roberto Cerati. Mi fa pensare che ci sia davvero un legame tra come ci si veste e come si pensa. Chi parla male pensa male, diceva Nanni Moretti. Sono d’accordo, anche se è un tema molto delicato: non tutti hanno la fortuna di ricevere gli strumenti per poi, volendo, parlare bene. Non è sempre una colpa, una responsabilità, parlare male. Sull’abbigliamento forse il tema è ancora più delicato, perché cosa vuol dire vestire male? Non so più chi diceva che tutti pensano di avere buon gusto e senso dell’umorismo. Ma la verità è che non tutti possono avere buon gusto e senso dell’umorismo. Abbiamo il NOSTRO gusto e il NOSTRO senso dell’umorismo. E però è innegabile che nel magma dei consessi umani a un certo punto emerge un’idea di buon gusto e di cosa fa ridere. E così si dice poi che alcune persone hanno buon gusto e altre no e che alcune persone hanno senso dell’umorismo e altre no. Io ci credo, nell’esistenza del buon gusto e del senso dell’umorismo. E per me Roberto Cerati aveva buon gusto e si vestiva bene. E non a caso pensava bene. Ho cominciato a occuparmi di moda per caso e ora lo faccio per un giornale dove si guarda soprattutto agli aspetti economici del sistema moda, un tema importante e tanto più importante nel nostro Paese. Ma spero di riuscire a non scordarmi mai che il modo in cui ci vestiamo, ciò che ci spinge a scegliere come vestirci e a volte a costruirci una vera e propria divisa, come ha fatto Cerati, ha un significato molto profondo e dice tanto di noi, nel bene e nel male.