Settimana scorsa mi ha molto colpita una frase che pare Carlo Mazzacurati, stroncato da un Signor Cancro pochi giorni fa, dicesse spesso: "Ogni persona che incontri sta combattendo una battaglia di cui non sai niente. Sii gentile. Sempre". Come è vero, ma come è difficile tenere a mente queste parole. Le battaglie che mi fanno sentire più vicine alle persone, spesso sconosciute, sono quelle che si combattono o si cercano di combattere contro le proprie fragilità. Per questo, probabilmente, sono attratta da sempre, fin da quando l'ho vista la prima volta, credo, da Marilyn Monroe. Il mio bagno è tappezzato letteralmente, di cornici Ikea coloratissime con decine e decine e decine di disegni dei miei nipoti. Solo tre cornici non sono "famigliari". Una foto di Marilyn (pochissimo conosciuta), il poster della Louis Vuitton Cup di San Francisco 2013 (temo sarà l'ultima) e un disegno di Franco Matticchio. Sempre a proposito di Marilyn e prima di passare alla notizia della morte di Philip Seymour Hoffmann (Marilyn è stata ovviamente tirata in ballo da tutti), che mi ha colpita tantissimo, cito l'inizio di un librettodi Mario Andrea Rigoni che ho comprato qualche giorno fa:
Non so se Marilyn (qui accanto, in un servizio del 1952 per Pageant Magazine) sognasse di non essere Marilyn, come dice Rigoni. Ma sicuramente combatteva la sua battaglia, come diceva Mazzacurati. Con nessuno al suo fianco. O nessuno che volesse saperne davvero.
Anche Philip Seymour Hoffman combatteva la sua battaglia. Non so perché, ma mi sembrava molto meno segreta di tante altre. I suoi film che ho amato di più sono "Onora il padre e la madre", con Ethan Hawke e The Savages, con Laura Linney. E tra i due, il primo. Le mie sono sensazioni, forse rese un po' più credibili perché ho visto entrambi i film in originale, ascoltando la voce vera di Hoffman. Credo che – come tutte le persone intelligenti – sapesse di essere bravo, di essere un bravissimo attore. Ma un conto è saperlo, un conto è farselo bastare. Non è la modestia il problema delle persone insicure. Non è la mancanza di capacità di riconoscere i propri pregi. Eè il fatto di dargli davvero peso, di riuscire a sentirsi ancorati al mondo e non, appunto, fragili.
Secondo me Hoffmann avrebbe voluto essere più bello, perché pensava che così sarebbe stato più amato. Può suonare banale, ma chi sente un disagio fisico, un voglia di scappare dall'immagine che lo specchio o gli altri ci restituiscono di noi sa sicuramente di cosa parlo. Lo script di Onora il padre e la madre è crudelissimo da questo punto di vista. Il fratello, Ethan Hawke in splendida forma, è più stupido, più arrogante, più irritante, ma è comunque più amato. Perché è più bello. Negli ultimi tempi Hoffmann si era lasciato andare: sempre più grassoccio, trasandato, mal vestito. Non riesco a pensare a lui senza soffrire un po' per lui. E per la sua compagna e per i suoi figli, amici, colleghi attori.
Penso a Carlo Mazzacurati: secondo me se avesse lavorato con Hoffmann avrebbe capito quale era la sua battaglia. Ma chissà se avrebbe potuto, anche in silenzio, aiutarlo. Da amante del cinema, egoisticamente, sono triste anche perché non proverò più le emozioni che dava la voce, il modo di guardare, di muoversi, di Hoffmann. E forse qui c'è nascosto un altro paradosso: quanto più intense sono le emozioni che riesce a trasmettere chi dentro di sé ha un mare in burrasca, sempre e comunque. Chi si sente sballottato, anziché in controllo. Chi si sente insicuro, anziché granitico e ancorato al mondo.