«Un libro amaro e doloroso, un modo di penetrare in mondi sconosciuti, dentro gli angoli piú gelosi e segreti del cuore umano». Così Corrado Stajano, uno dei miei scrittori e saggisti preferiti, descrive il libro appena uscito da Einaudi di Piergiorgio Paterlini, che si intitola “I brutti anattrocoli“. L’ho sfogliato nel week end, mi riprometto di leggerlo con più attenzione nei prossimi giorni. Il tema è, come dice Stajano, doloroso. E raramente affrontato. Si parla (copio dalla quarta di copertina) di “storie emblematiche di «ordinaria bruttezza». Uomini e donne, giovani e non piú giovani, di ogni parte d’Italia e di diversa estrazione sociale, culturale, professionale e religiosa, raccontano la propria esistenza a partire da questa singolare prospettiva: la bruttezza fisica. Uno dei piú misteriosi scacchi esistenziali, ma anche uno dei piú rimossi e potenti tabú del nostro tempo, in un libro singolare e controcorrente, che continua a sfidare i luoghi comuni di ogni epoca e cultura”.
Credo che tutti abbiamo conosciuto qualche brutto anatroccolo. O forse qualcuno di noi si sente un brutto anatroccolo. A me è capitato spesso e per tanti anni. Una parte razionale di me, confrontando il mio aspetto fisico con quello degli altri, sapeva che non rientravo esattamente nella categoria, pur non essendo stata da piccola una Shirley Temple né essendo diventata poi una modella, neanche lontanamente! Però non ho handicap, ho molti buoni geni e tante fortune, dal punto di vista fisico. Da bambina e da adolescente ho sofferto molto gaurdando chi soffriva perché si sentiva un brutto anatroccolo, a torto o a ragione (e qui naturalmente si potrebbe aprire un’infinita discussione su come definiamo la bellezza e quindi la bruttezza…). Non escludo però di aver meschinamente preso in giro qualche brutto anatroccolo, quando ero piccola e seguivo la corrente (non penso di averlo mai fatto per mia iniziativa, ma forse mi sono accodata a qualche gruppo di pari). Da molti anni ormai mi viene naturale – per fortuna – non dare alcun tipo di giudizio fisico sulle persone. Nel senso: è chiaro che la bellezza e la bruttezza esistono e si vedono e si commentano, ma non mi fermo mai lì. Vedo, ma non giudico. Non c’è “peso specifico” nel mio giudizio estetico. Non compromette alcuna altra forma di conoscenza.